El Tiempo non mata el dolor

Da qualche parte, nel caos frenetico della città, nel silenzio assoluto del deserto,nell’intimo della propria stanza, un uomo e una donna cercano disperatamente un contatto.
Ma non riescono più a comunicare in modo reale e coerente.
Riaffiorano vaghi ricordi dall’inconscio.
Ogni possibilità di comunicazione, di contatto diventa sterile…inutile.
L’isolamento dell’uno si trasmette all’altro.
S’ingigantisce e diventa delirio contagioso.


Ad Enzo, compagno di viaggio, di vita e di strada
Il miglior omaggio ad Enzo non poteva essere che quello di mettere in scena l’opera, rimasta incompiuta, su cui stavamo lavorando. Ma non ho lasciato le cose dove erano arrivate, ho lavorato con lui accanto a me, quindi rileggendo, trasformando alcune parti del testo, come era nostra abitudine, lo stesso metodo usato per mettere in scena le altre sue opere, ma lasciandola incompiuta, perché l’ultima parola non poteva che essere la sua.
L’idea di partenza, da me propostagli, era quella di lavorare sul tema della solitudine esasperata, due monologhi esasperati, un dialogo che non si incrocia, un Tango che non riesce ad essere ballato in due, un incontro che non avverrà mai.
Sovrapporre due voci recitanti, a due corpi danzanti sotto una musica di fisarmonica straziante.
Nella messa in scena ho deciso di conservare almeno in parte l’idea originaria e quindi agli attori si sovrappone la musica dal vivo, le canzoni di Enzo, quasi a voler riempire con altre sue parole quelle che mancano nel testo, e la figura di una danzatrice che fa rivivere un tango impossibile da danzare